MILANO, I DOLCI SEGRETI DEL DERBY
di Luca Serafini
Non credo esista una partita più ospitale per i bambini, le famiglie, gli amici delle due diverse parrocchie: al derby di Milano si può assistere con sciarpa e bandiera del Milan o dell’Inter, stando seduti uno o una accanto agli altri. Non è così a Roma, Genova e Torino, tanto meno all’estero – per esempio a Madrid o qualche derby inglese – fino al Sudamerica, se vogliamo. La rivalità cittadina è esasperata soprattutto dove l’unico obiettivo è arrivare a fine stagione davanti ai rivali, o dove gli uni sono regolarmente davanti agli altri come Juve e Toro.Le tifoserie più calde hanno stretto un patto di non belligeranza che dura da decenni, anzi sono coinvolte insieme in molte iniziative di solidarietà e beneficenza: Curva Nord e Curva Sud vanno negli ospedali, o in Emilia a spalare il fango, o raccolgono fondi con cene mirate.
Anche i Club organizzati si distinguono in questa direzione: domenica scorsa ho presenziato alla sfida di calcio tra il Milan Club Gubbio Rossonera e l’Inter Club Gubbio Nerazzurra, con annesso pranzo e poi incontro in teatro con me e Fabrizio Biasin. C’era anche il museo e molti articoli da battere all’asta per la piccola Rachele, una bambina di 8 anni che lotta contro la malattia di Batten (una patologia genetica ultrarara e neurodegenerativa) e che da agosto è sostenuta da un’associazione nata apposta per lei, Hope4U. Potrei citare mille altre iniziative come questa a certificazione dell’impegno tra due tifoserie responsabili, dove le eccezioni hanno sempre confermato la regola.
Gli unici due club al mondo con 10 Champions (a Madrid il Real ne ha 15, l’Atletico 0; a Londra ne ha vinte 2 solo il Chelsea; a Monaco 4 il Bayern) costretti ad avere uno stadio condiviso per politica, burocrazia e miopia. La città che ha vinto più di ogni altra al mondo, nel calcio. Le due squadre che hanno vinto 9 Palloni d’oro. Non sono segreti, ma la dimostrazione che una rivalità sana, corretta, basata sulle prese in giro può generare il derby più sereno del mondo. Comunque vada a finire. Ci sono poi i risvolti delle fedi rovesciate, come quella prima, storica di Giuseppe Meazza che resta una delle icone più grandi dell’Inter (348 partite e 240 gol), eppure dopo 13 stagioni in nerazzurro passò per 2 anni in rossonero (37 partite e 9 reti) e più tardi andò persino alla Juventus… Motivo per cui i milanisti non hanno mai gradito che lo stadio fosse intitolato a lui. Si vociferò persino che Silvio Berlusconi tifasse per i cugini, ma in realtà la leggenda nacque solo perché aveva l’idea imprenditoriale di acquistare l’Inter e – allo scopo – incontrò l’allora presidente nerazzurro Ivanoe Fraizzoli.
Per quanto mi riguarda, posso solo testimoniare che Fulvio Collovati era un milanista viscerale e che fu Giussy Farina a tradirlo vendendolo all’Inter, non viceversa…
Tra i più bei segreti del derby c’è la simpatia, la guasconeria, l’esuberanza di molte vecchie glorie interiste numericamente superiori quelle milaniste, le quali pure non mancano affatto: ricordo con affetto il lungo rapporto con Luis Suarez e Peppino Prisco, al funerale del quale andai con Giovanni Lodetti – peraltro imbattibile quanto a verve, ironia, allegria – timorosi dell’accoglienza che avremmo ricevuto, commuovendoci invece quando sfilammo in mezzo ai tifosi nerazzurri che ci applaudirono.
Benito “Veleno” Lorenzi veniva a San Siro ogni domenica a vedere sia il Milan che l’Inter, non andava in tribuna d’onore ma stava in tribuna stampa, in piedi dietro di me che occupavo la fila più alta, essendo molto giovane ed essendo quelle più basse riservate alle firme più importanti. Se giocava il Milan in casa, lui stava con la radiolina all’orecchio per sapere cosa faceva l’Inter. Mi dava dei colpi con le dita sulla spalla se segnavano i nerazzurri o se il Milan subiva un gol. Frequentavamo insieme gli studi televisivi dei canali milanesi, così come co Sandro Mazzola a Telenova e Roberto Boninsegna a Italia 1. Lele Oriali, che incontrai diverse volte con Bruno Longhi, ma soprattutto Evaristo Beccalossi col quale ho vissuto anni di battute e frecciatine negli studi tv e che spero vivamente si stia rimettendo. Poi quel folle di Nicola Berti, la genuina semplicità di Spillo Altobelli, una lunghissima amicizia con Aldo Serena col quale ancora ci scriviamo spesso.
Non posso dimenticare ovviamente l’interista al quale resterò per sempre più legato: Mauro Bellugi. Ai tempi del mensile “SuperGol” agli inizi degli anni ’80, il direttore Maurizio Mosca gli affidò una rubrica per cui doveva rispondere in redazione alle telefonate dei lettori. Ero io a stare in quell’ufficio con lui e trascrivere i dialoghi, così tra una pausa e l’altra mi raccontava decine, centinaia di aneddoti, con un’esuberanza toscana, la sua voce roca, i suoi modi affabili e coinvolgenti. È stato il primo, grande campione che ho conosciuto da vicino e a fondo e gli ho voluto un bene infinito.
Ecco, un milanista che ha amato molti interisti (aggiungo Riccardo Ferri, Walter Zenga, Karl Heinz Rummenigge, Beppe Bergomi, Giacinto Facchetti e oggi suo figlio Gianfelice) è un altro piccolissimo segreto, che vivo con serena allegria. Purché il prossimo derby finisca in un certo modo…

BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.
